da venerdì 4 a domenica 6 maggio 2018
ore 21.00 (dal giovedì al sabato); ore 18.00 (domenica)
durata:


drammaturgia e regia Eduardo Di Pietro
con Eduardo Di Pietro, Giulia Esposito, Vincenzo Liguori, Gennaro Monforte, Laura Pagliara
costumi Federica Del Gaudio
aiuto regia Alessandro Errico
progetto e regia Eduardo Di Pietro
produzione collettivo lunAzione
in coproduzione con Fondazione Campania dei Festival

Un gruppo di terroristi si riunisce poche ore dopo una rapina alla Banca Nazionale, il cuore di quel sistema economico e sociale al quale si dicono di attentare. Ma un incidente ha rovinato l’azione e ora ciascuno dei criminali denuncia una parziale amnesia: tutti hanno perduto frammenti di memoria e, soprattutto, nessuno rammenta dove siano i soldi della refurtiva. Una ricercatrice in rovina, un imprenditore fallito, un ex operaio e sua moglie, sono questi gli anarchici autori del gesto, paradossalmente innocenti di fronte all’imprevisto, vittime del caso. O forse di fatto carnefici, sostenitori della dittatura più pesante da rovesciare: quella del denaro.

Note di regia

Lo spettacolo è comico. Fa ridere. Questa premessa è necessaria per lo spettatore che si arrischierà a leggere il seguito. La drammaturgia di Jamais vu è rimasta covata per diversi anni: l’idea di base prende le mosse da quella cronaca che costituiva l’attualità, nel periodo successivo all’appena rivelata crisi economica. L’evento convenzionalmente individuato nel 2008, protraendosi nostro malgrado, ha di fatto declinato in maniere infinite – eppure consimili – il disagio stagnante e teso nella società occidentale. Ha funzionato da cartina al tornasole per evidenziare rapporti di potere e dinamiche relazionali già ampiamente in atto ma infine esasperate, a denuncia di una crisi anzitutto antropologica. Abissali e frustranti, nel paese le disparità portano tuttora strascichi di emarginazione, suicidi, ingiustizie. Un dramma sociale talmente profondo e articolato, da risultare insondabile alla sola immaginazione. Tali occasioni sono il segnale di un privilegio, s’intende: quello del non esser stati abbattuti trasversalmente, quali vittime lievi di quei drammi stessi. Partendo da tutto ciò, Jamais vu si svolge attraverso due riflessioni: la prima intorno alla memoria di ciascun individuo in quanto membro di una collettività, con la successione dei tre momenti che organizzano la messinscena – Amnesia, Ricordo e Memoria. Pur nella consapevolezza di un’iniquità vertiginosa e della sofferenza sociale diffusa, vivere e perseguire la serenità personale richiede in ciascuno il voltare lo sguardo, la necessità di dimenticare più o meno a lungo l’Altro, le altrui condizioni. Che questa dimenticanza sia soppiantata dall’ignoranza o che sia mascherata da presunta impossibilità d’azione, noncuranza o qualsivoglia ordine di priorità – “tengo famiglia”, – qui poco importa. Le categorie di personaggi coinvolti nella messinscena abbracciano degli ideali di cambiamento sociale, reduci dalla violenza della miseria. Ma ben presto quegli ideali sono persi di vista. La seconda riflessione, la più impegnativa e vaga, riguarda la realizzazione individuale di ciascuno, la possibilità in tal senso di scegliere. Viviamo un mondo che in maniera sempre più spietata preserva il potere, sacralizza il consumo, privilegia la produttività. Da una parte l’esistenza si allunga, dall’altra si dovrà lavorare di più. Diritti acquisiti con il sacrificio, vengono rinnegati. Quanto siamo consapevoli oggi dell’importanza sociale delle istanze di trasformazione, delle spinte antisistema? E quanto questi orientamenti difettano ormai di un’organizzazione di pensiero organica e focalizzata? In altre parole, abbiamo provato a chiederci “quando è diventata infelice la vita” e cosa siamo in grado di fare ancora per dirci degni di avere vissuto.