Krapp’s Last Post
“Coso” è Riccardo Floris. “Cosa” è Alessia Berardi. Due attori dalle grandi qualità. Che lottano con corpo e voce in un’alternanza ritmica di parole e lunghi monologhi, suoni e urla, dialoghi serratissimi e silenzi. Sostengono l’ora di spettacolo tra sfoghi di rabbia e lampi comico-surreali, senza uscire mai dal proprio personaggio, senza perdere l’attenzione, ascoltando i sussulti e le reazioni del pubblico, sentendo intimamente il proprio partner in ogni istante e utilizzando tutto questo per mantenere il ritmo. Lo spettacolo, frutto di un lungo lavoro di drammaturgia, improvvisazioni, ricerche e interviste attraverso la collaborazione di Asl e associazioni, porta la firma di Ferdinando Vaselli. Il regista riesce a coniugare perfettamente l’iperrealismo dei personaggi con la poesia e la metafora; il dialetto si sposa con la performance fisica e l’essenzialità delle scenografie; e la musica di Chopin ben si affianca a quella elettronica originale di Sebastiano Forte. Il pubblico dimostra in più momenti la sua presenza partecipante con risate e applausi a scena aperta, ma anche con lunghi silenzi nei momenti in cui il lato tragico e violento della narrazione si mostra in tutta la sua forza. Ogni riferimento (intimo, a grandi marche di multinazionali, alla religione cattolica, alla televisione, ai modi di dire), ogni parola o nome della nostra quotidianità colpisce e affonda nella mente dello spettatore. Unanime la reazione: un lungo applauso finale.
Teatro e Critica
Ci aspettano due spettacoli che per motivi simili faranno presa sugli spettatori. Ladyoscar di Ferdinando Vaselli (Ventichiaviteatro) è il risultato di un lungo lavoro sul campo fatto di incontri e interviste; la volontà però non è quella di un teatro che celebri la propulsione quasi sociologica che ne ha determinato il commino con un approccio totalmente mimetico. Anzi i due personaggi interpretati da Riccardo Floris e Alessia Berardi vivono nel mezzo di complessi rimandi, è la generazione cinica e degenerata di certi tipi alla Mtv (tra serie tv e cartoons) incrociata con la malinconia e tragicità dei periferici protagonisti pasoliniani.
Pensieri di Cartapesta
Coso e Cosa assomigliano a Estragone e Vladimiro: come loro, aspettano, non Godot, ma il loro pusher, che – come Godot – tarda a presentarsi. La scena è dotata esclusivamente di un divano immondo e di un’esile struttura in legno, che cambia funzione durante lo svolgersi dello spettacolo: uno specchio, una porta, un pulpito. Le azioni dei personaggi sono un mero diversivo per ammazzare il tempo: assumono cocaina, si perdono nel viavai degli aerei, litigano, mentono, sognano di scappare via lontano, ballano convulsamente al ritmo di musica techno – una canzone ossessiva che continua a ripetere «Non me fa sentì lontano, non me fa sentì solo. Non me fa sentì niente amò». Nell’alternarsi di monologhi solipsistici e di dense sticomitie, che giocano sulla ripetizione spesso eccessiva, si realizza il riflesso dell’individuo egoista e consumatore, che si propone di evadere dalla propria condizione, senza alcuna volontà di provarci realmente. «Ladyoscar è una riflessione sull’umano, e sulla trasformazione del linguaggio, che è in parte televisivo e in parte post-pasoliniano», sono le parole che Ferdinando Vaselli, autore e regista, ha scelto per descrivere la sua rappresentazione di una realtà ai margini. Come i personaggi beckettiani, Coso e Cosa sono fortemente caratterizzati nella loro fisicità: Alessia Berardi crea una figura nervosa e svelta che, nella danza frenetica, trova sfogo e respiro. Raggiunge l’apice nella corsa disperata che svolge sul palco, intorno al divano su cui dorme il fidanzato; e nel gesto di togliersi felpa e t-shirt conquista una liberazione da cui immediatamente scaturiscono vergogna e pentimento.
RecenSito
Essere tossici. Essere romani. Essere periferici. Essere persi. E, insieme, non essere tutto questo. Non essere niente se non parole e tempo spesi in un non luogo incapace di ergersi a testimone, perché vuoto. Il debutto per Teatri di Vetro di “Ladyoscar” di Ferdinando Vaselli è un dialogo tra due personaggi senza nome, un “Coso” (Riccardo Floris) e una “Cosa” (Alessia Berardi) indistinti che si rivolgono l’un l’altra con un “amó” buttato lì, svuotato. Vivono davanti ai nostri occhi una giornata tipo, scandita da buffi e sboccati intercalari romani (bravissimo Vaselli per l’aderenza alla realtà) creando una climax che, non appena raggiunto l’apice, si sgonfia su se stessa lasciando una mancanza incolmabile.